Da ilmanifesto.it
di Angelo d'Orsi
II 29 aprile 1937 il Corriere della Sera dà notizia della distruzione di Guernica, l'antica storica capitale di Euskadi, avvenuta tre giorni prima, il 26 aprile, un lunedì pomeriggio. Il primo articolo del Corriere ha un titolo emblematico, che coglie perfettamente nel segno, ma rovesciando le cose: Come si falsa la Storia. La distruzione di Guernica e le menzogne della democrazia internazionale.
Di qui si può capire perché quell'evento possa esser considerato l'esempio e quasi il modello del ribaltamento della verità, a cui tante volte abbiamo poi assistito nel corso del XX e dei primi decenni del XXI specie in relazione ad eventi militari. Non è solo il Corriere a prestarsi all'operazione di costruire menzogne per nascondere le menzogne. È tutta la stampa italiana, allineata e coperta alla volontà del duce, in quell'anno terribile che fu il 1937, quando il fascismo, reduce da una guerra - l'Etiopia, con la «conquista dell'Impero» tornato «sui colli fatali di Roma» - si è immediatamente impegnato in un'altra guerra, quella contro los rojos spagnoli, guerra di cui Mussolini come Hitler capiscono subito l'importanza ideologica, prima che strategica.
Con il sostegno decisivo della Chiesa cattolica spagnola, sia, un po' più defilate, delle gerarchie vaticane, i sedicenti volontari italiani (che raggiunsero la cifra di 120.000) inviati dal regime fascista e la potente rinata, aeronautica militare del Terzo Reich, trasformano una sedizione militare, già sul punto di fallire, in un'aggressione internazionale a uno Stato europeo, usando il terrore di massa. E la menzogna per giustificarlo o occultarlo.
Ma esisteva una stampa indipendente internazionale, e grandi reporter (a cominciare da George Steer, l'australiano, mitico corrispondente del Times e del New York Times) che si recarono sui luoghi e inviarono vere corrispondenze di guerra, in grado di inchiodare nazisti, fascisti e franchisti alle loro colpe.
Il caso di Guernica è emblematico. Le menzogne del comando di Franco - balbettante fra diverse versioni, ma tutte coincidenti nell'attribuire la responsabilità ai rossi - si rivelano presto insostenibili davanti alle circostanziate denunce dei giornali britannici francesi e americani. Quelli italiani persistettero nel loro repertorio di sciocchezze e menzogne, tanto più desolante, se si pensa che ne
furono protagoniste grandi firme, che, nel dopoguerra si riciclarono tranquillamente nella stampa "democratica" e ancora oggi sono considerate stelle del giornalismo italiano, come Luigi Barzini che, sul Popolo d'Italia (il quotidiano di Mussolini), scrisse articoli vergognosi quanto superficiali.
La campagna su Guernica assunse un tono prevalentemente antibritannico, anticipazione della assordante propaganda contro «il popolo dei cinque pasti», che già avviata dopo le sanzioni all'Italia per l'aggressione all'Etiopia nel 1935, diverrà ossessiva durante la guerra mondiale. Non potendo negare la distruzione della città santa dei Baschi, si insiste sulla menzogna: sono stati i repubblicani in fuga, e si disegna la trama classica del complotto internazionale, su cui a partire dall'attacco all'Etiopia, e alle successive sanzioni contro l'Italia, la pubblicistica fascista si è scatenata, in un crescendo che toccherà i suoi picchi massimi nella Seconda guerra mondiale.
Scrive il Popolo d'Italia che i francesi del Fronte Popolare, «prendendo a pretesto la distruzione di Guernica per attribuirla all'aviazione nazionale, piuttosto che alle torce incendiarie dei repubblicani fuggiaschi», hanno collaborato a «intorbidire l'atmosfera internazionale»: accanto a loro, «i demagoghi ispirati dalla bibbia anglicana con i seguaci di Carlo Marx e i fratelli massoni». Nell'idea della cospirazione internazionale, invece degli ebrei sono i protestanti, gli anglicani, che complottano con i marxisti, e, naturalmente, con i massoni.
L'altro elemento che entra nel modello Guernica, ci riporta sotto gli occhi un altro luogo comune delle guerre coloniali, dalla Libia del 1911 all'Afghanistan, all'Iraq, alla Libia 2011. Gli invasori sono i «liberatori». Tale Riccardo Andreotti firma sulla Gazzetta del Popolo un articolo che fissa un vero canone interpretativo: «Guernica è apparsa alle truppe liberatrici quasi completamente rasa al suolo dalla furia devastatrice dei rossi che, prima di abbandonarla, l'hanno data alle fiamme».
Un altro inviato speciale, Renzo Segàla (altro "grande nome" del giornalismo nazionale), sul
Corriere della Sera presenta un quadro che sembra riprodurre i suoi stessi servizi da Addis Abeba occupata dalle truppe italiane all'incirca un anno prima: gli invasori sono salutati dalle popolazioni locali come liberatori, vengono ben accolti nelle città (e in special modo a Guernica, si precisa con straordinaria spudoratezza): in confronto a quanto fatto dai rossi a Guernica, Pompei può ancora sembrare una città abitabile.
Su La Stampa attraverso uno dei suoi inviati di punta, Sandro Sandri (destinato morte prematura, in quello stesso anno '37, dopo aver avuto il tempo di pubblicare un libro encomiastico verso il generale Graziani, il massacratore degli africani), fa capire, fin dal titolo, che non la verità dei fatti, ma la fedeltà politica stanno a cuore al giornale: Guernica ridotta in cenere dai dinamitardi comunisti. Il racconto vuol essere una dolente epopea capace di commuovere e insieme indignare. Mentre lungo la strada una folla commossa ed entusiasta di contadini accorsi dai villaggi vicini faceva ala al passaggio delle truppe, benedicendo ed acclamando, uno spettacolo terribile si presentò ai nostri occhi, non appena fummo nell'abitato (... ) un silenzio desolante regnava nelle vie di Guernica, su cui la barbarie rossa ha compiuto un crimine che supera di gran lunga l'incendio di Eibar. Quella di Guernica bombardata dai nacionales o loro alleati non è che una «stupida panzana».
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