Di Michele Bocci
L'esodo è iniziato e sarà molto difficile fermarlo. I medici vanno via dagli ospedali italiani e in buona parte non vengono sostituiti. Dal 2010 in avanti, ogni anno ne verranno pensionati in media oltre il doppio di quelli che saranno assunti. Perché il numero di chi entra torni ad essere identico a quello di chi esce bisogna aspettare tantissimo, addirittura fino al 2028. A lanciare l'allarme è il sindacato Anaao che, in una ricerca presentata di recente, riporta dati inequivocabili: già quest'anno potrebbero smettere di lavorare 14mila dottori dei 120mila dipendenti del servizio sanitario. E dal 2011 al 2015 se ne andranno altri 30mila. In sei anni più di un terzo della forza lavoro sparirà. Il tutto mentre dalle facoltà di Medicina vengono sfornati solo 5mila specialisti all'anno, di cui appena 3.500 scelgono di lavorare negli ospedali pubblici. Anche il Ministero ha fatto una previsione a tinte fosche: nel 2018 al nostro sistema sanitario mancheranno 22mila camici bianchi.
Come se ne esce? Secondo il segretario nazionale dell'Anaao, Costantino Troise, bisogna assumere i medici laureati prima che concludano la specializzazione nei reparti universitari (lunga 5-6 anni): "Dobbiamo inserire questi colleghi nel sistema sanitario e qui fargli concludere la formazione. In questo modo gli organici saranno rinforzati. L'Università non farebbe i salti di gioia, perché gli specializzandi sono forza lavoro a basso costo che svolge un gran volume di prestazioni, ma è
l'unico modo per contrastare l'esodo. E poi le facoltà devono far entrare più persone". Solo un candidato su 7, oggi, passa il test per iscriversi a Medicina.
A provocare l'aumento esponenziale dei pensionamenti sono più fattori. Nuove norme permettono ai dottori ospedalieri di andare in pensione con 40 anni di contributi anche se hanno meno di 65 anni. Un tempo il riscatto degli anni di laurea era molto vantaggioso e in tanti raggiungono il massimo dei contributi a 60 anni. Inoltre, segnalano i membri del sindacato che hanno fatto la ricerca, Carlo Palermo e Enrico Reginato, le condizioni previdenziali stanno peggiorando. Molti decideranno di smettere di lavorare, del resto dal 2005 in poi la media dell'età di chi è andato in pensione è stata di 61-62 anni. Ma si trattava di circa 2.500 dottori all'anno, non di 7mila.
Proprio nel 2010 la curva pensionistica, basata sull'anno di nascita dei dottori e sulla loro anzianità, inizia a salire in modo esponenziale, la maggior parte dei medici in servizio sono nati infatti tra il 1950 e il 1959. "È evidente - suggeriscono Palermo e Reginato - che un medico costretto dalle attuali condizioni lavorative a fare turni di guardia ed una mole elevata di straordinario, in condizioni di alto rischio professionale, all'età di 61-62 anni decida di ritirarsi in pensione".
A fronte delle uscite, ci sono i problemi economici della sanità italiana, con certe Regioni che hanno bloccato il turnover per i piani di rientro e le altre che comunque non vivono condizioni di bilancio floride. In molti affrontano le difficoltà di organico cambiando l'organizzazione. Toscana ed Emilia, ad esempio, hanno varato progetti per aumentare la responsabilità degli infermieri del 118 e di quelli degli ospedali, che si occupano dei cosiddetti codici bianchi, cioè meno gravi, proprio per lasciare ai dottori il tempo di dedicarsi ai casi più importanti. Un'idea contrastata da alcuni Ordini dei medici (Bologna, Milano) con tanto di esposti in procura.
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