Alle 5.15 di mercoledi mattina (ora italiana) Barack Obama è stato rieletto per un secondo storico mandato alla Casa Bianca. “Four more years” è lo slogan che ha condotto il presidente americano alla vittoria sul repubblicano Mitt Romney.
La foto dell'abbraccio appassionato con la First Lady Michelle è diventata in poche ore lo scatto più ritwittato di sempre e il discorso di Obama dopo la vittoria sta facendo il giro del mondo. Eppure, sebbene il presidente Usa appena rieletto dichiari davanti ai sostenitori al suo quartier generale di Chicago che "il meglio deve ancora venire" l'entusiasmo che si respira oggi appare ben diverso da quello che 4 anni fa ha celebrato la vittoria di Barack Obama.
Da rivoluzionario a “il meno peggio”: l'impressione è che agli occhi di molti cittadini, statunitensi e non, quello che nel 2008 appariva come l'artefice di una imminente rivoluzione globale sembra oggi piuttosto 'il male minore'.
Pacifismo, ambientalismo, diritti civili. A ben vedere, infatti, quella promessa di cambiamento epocale
annunciata con vigore da Obama nella precedente campagna elettorale è stata disattesa sotto molti punti di vista.
Riforme poco incisive e azioni poco determinanti hanno caratterizzato infatti la politica ambientale perseguita dal presidente Usa che aveva inizialmente promesso una grande green revolution. In questi anni le speranze di ambientalismo ispirate da Barack Obama sono man mano sbiadite, offuscate dalla macchia nera del Golfo del Messico, dal potere delle lobby e dai tatticismi politici.
Tra i segnali del dietrofront di Obama nella lotta all'inquinamento la richiesta avanzata nel 2011 di ritardare almeno fino al 2013 l'introduzione di standard sull'ozono assieme alle relative restrizioni per le emissioni nocive di smog. In quel caso le associazioni ambientaliste statunitensi hanno letto nella mossa di Obama “l’ennesima genuflessione agli interessi delle cosiddette Big Oil, le lobby del petrolio, e delle King Coal, quelle del carbone”.
E mentre il verde sbiadiva, il pacifismo di Obama vacillava. “La fiaba di un Obama refrattario di fronte al militarismo israeliano? Errore: dietro la maschera del sorriso, il presidente americano in realtà spinge per la guerra planetaria e si prepara a farla digerire al suo popolo”, rilevava Giorgio Cattaneo all'inizio di quest'anno.
Molto discussa è stata poi legge straordinaria voluta da Obama contro il dissenso, che consente la
“detenzione a tempo indeterminato” di cittadini americani nonché l' ordine che dà al presidente piena discrezionalità sul controllo delle risorse degli Stati Uniti, sia in tempo di guerra che in tempo di pace.
L'operato di Obama, in generale, non è riuscito, almeno sino a questo momento, a rispondere a quell'esigenza di global change sempre più avvertita dai cittadini ed espressa dai movimenti di indignati nati negli ultimi tempi, figli del malessere e l'insofferenza verso il sistema dominante.
Un quadro che sembra suggerire che il vero cambiamento non può venire dai leader del mondo, la cui agenda politica è irrimediabilmente condizionata dagli interessi delle lobby economiche e finanziarie. Nessuna speranza, dunque? Forse, come ha affermato il linguista Noam Chomsky in una recente intervista, “l' unica speranza è che 'Occupy Wall Street' e altri movimenti dal basso continuino a far breccia nell' opinione pubblica, trasformandosi in un volano per il cambiamento".
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