Da unita.it
Di Giordano Montecchi
Emozionato come quando si apre l’album dei ricordi, ho ripreso in mano la mia vecchia enciclopedia Conoscere, acquistata a fascicoli in edicola tanto tempo fa e malconcia assai per il troppo uso. Conoscere è stato il testo di cultura generale più diffuso nell’Italia del boom (600 milioni di fascicoli venduti fra il 1958 e il 1963!): oltre quattromila pagine che per tanti baby boomers italiani hanno costituito le basi della loro cultura in anni in cui la tv era ancora una cosa nuova, e il volto più noto era quello del maestro Alberto Manzi. Conoscere mi ha dato la conferma che cercavo. Nei sedici volumi dell’enciclopedia solo due-pagine-due trattano di musica: una dedicata a Ludovico van Beethoven (sic) e un’altra a Verdi. Nient’altro. Solo nei quattro volumi del Dizionario enciclopedico c’è la voce «Musica», che in nove pagine racconta la storia dall’antichità a Stravinsky, elenca i principali strumenti musicali e dedica alla «Musica americana» una decina di righe che si chiudono in questo modo: «Il migliore di essi è Giorgio Gershwin (pron. ghersciuin) (1898-1937): la sua “Sinfonia in blu” (SIC!)rappresenta il migliore tentativo per elevare a forma d’arte questa semplice musica negra».
Imbarazzante. Ma questo nulla toglie al valore di un’opera benemerita che, insieme a Non è mai troppo tardi, è l’emblema di un’epoca in cui l’Italia fece sforzi giganteschi per colmare l’enorme gap culturale col resto d’Europa. Quanto alla musica, quell’assenza così vistosa dalle pagine di Conoscere non è un «difetto», è solo la conferma del fatto che l’estraneità della musica alla cultura di base degli italiani ha radici profonde, antiche di secoli: il mancato decollo della borghesia in epoca illuminista; la mai compiuta emancipazione dal potere feudale e clericale; quella gerarchia culturale molto nostrana che ha
estromesso la musica dall’aristocrazia dei saperi teorici, declassandola a pura pratica e condannandoci a quell’estetica da sordi di cui Benedetto Croce fu l’apoteosi.
Alla foce di questo grande fiume malato ecco discografici depressi, editori in svendita, fondazioni liriche alla canna del gas, musicisti che scioperano o si incatenano, orchestre che affogano, scuole che scacciano la musica dai loro programmi (a gara con le tv generaliste), classifiche di vendita che premiano la monnezza, ministri che solo all’idea di spender soldi per la musica scadono nel turpiloquio.
Purtroppo o per fortuna la musica è una spugna, è la più efficace e impietosa cartina al tornasole del sentire individuale e collettivo. La musica tocca, smuove, eccita, identifica come nessun’altra arte. Per questo essa suona oggi stonata, pomo della discordia, megafono del malessere culturale che accompagna questa nostra decadenza di nazione, e di cui Berlusconi è solo la ciliegina sulla torta, il prodotto di un sistema il cui degrado è in atto ormai da decenni. Tutti hanno colpe, qualcuno ha delle scusanti: dai politici che vorrebbero liberarsene bollandola come puro parassitismo, a certi «operatori del settore» che, come un mantra, intonano un lamento delle vittime nel quale scorrono troppe lacrime di coccodrillo. E poi trafficanti di cd pirata, discografici, editori, venditori, agenzie di management, Siae, Enpals, musicisti, compositori, docenti, direttori artistici, assessori, sovrintendenti, radio, televisioni. E, infine, milioni di italiani, ossia l’affezionata clientela di un’incultura e di una connessa sordità ormai promosse a virtù nazionali.
In questo grande Music Circus gli onesti, i virtuosi, gli appassionati, costretti gomito a gomito con furbetti e lestofanti, sono incapaci di arrestare la deriva. E poiché non se ne può più di raccontare disastri, urge la risposta: come fare affinché le capacità, la dirittura, la bellezza (sì anche lei, visto che parliamo di musica) ritrovino voce e forza e seguito? Certo: fermare quella grande macchina infernale che senza tregua lavora a raschiare via dalla società civile indipendenza di giudizio, valori culturali, coscienza etica e di cui l’attuale governo è solo il braccio operativo incaricato di neutralizzare il sistema produttivo della cultura, dell’arte e della formazione. Già questo sarà un’impresa. Ma il difficile viene dopo.
Musicalmente, cioè culturalmente, l’Italia è un terreno bruciato nel quale bisognerà tornare a seminare e a far crescere l’erba buona. Tutti – tutti! – gli indicatori culturali denunciano il nostro distacco dall’Europa n termini non tanto di produzione, ma di domanda, cioè di consumi culturali. Occorre dunque far crescere negli italiani l’amore per questi accessori imprescindibili della dignità umana, riscoprendoli come bisogni irrinunciabili. Tre sono gli strumenti a disposizione: scuola, università e comunicazione. Non solo per la musica, la battaglia più dura si combatte proprio in questi tre settori che il governo, ben sapendo quanto siano strategici per il controllo sociale, stringe in una morsa inesorabile.
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