Da lettera43.it
Passano i giorni, cresce la rabbia, si moltiplicano gli attacchi e le vittime.
Dopo la morte dell’ambasciatore Usa in Libia, Chris Stevens, avvenuta l'11 settembre in circostanze ancora poco chiare la furia anti-americana ha trovato terreno fertile in Yemen e Iran.
E non accenna a placarsi in Egitto, trascinando nel vortice anche la vicina Tunisia.
Giovedì 13 settembre centinaia di manifestanti hanno assaltato la sede diplomatica statunitense a Sanaa, capitale dello Yemen, bruciando le vetture del personale diplomatico e arrivando ad appiccare il fuoco a uno dei compound oltre i cancelli di protezione. La polizia ha sparato per disperdere la folla che cercava di scavalcare le inferriate, uccidendo quattro persone (34 i feriti).
Nessun morto ma circa 200 feriti al Cairo, dove per il terzo giorno di fila militanti islamici sono scesi in strada bruciando le bandiere americane e cercando di rimuovere le insegne dell’ambasciata. Scene simili si sono viste anche in Tunisia e, per la prima volta da questa nuova intifada globale contro gli Stati Uniti, anche in Iran.
Gli iraniani, circa 500 secondo testimoni oculari, si sono radunati intorno all’ambasciata Usa scandendo «morte all’America», in un preoccupante remake della crisi del 1979, quando la sede venne occupata dagli studenti e 52 statunitensi furono presi in ostaggio.
A mantenere alta la rabbia, secondo la vulgata ufficiale, è ancora la messa in onda su un’emittente
cairota di spezzoni di un film offensivo nei confronti del profeta Maometto - Innocence of muslims - presumibilmente prodotto in California dal regista Sam Bacile.
Tuttavia, secondo indiscrezioni della stampa americana, non esiste alcuna persona con quel nome in America. E sempre di più si fa strada l’ipotesi che il filmato sia stato un pretesto, utilizzato da al Qaeda e dal suo ramo libico-yemenita Ansar al Sharia (Partigiani della legge islamica).
La paura che la violenza conosca nuove vampate ha costretto il presidente Barack Obama a rafforzare le misure di sicurezza in tutti i territori coinvolti. «Faremo tutto il necessario per proteggere i cittadini americani», ha promesso l’inquilino della Casa Bianca, dopo aver schierato due navi da guerra al largo della Libia e lasciando aperto qualsiasi spazio di manovra.
I timori più grossi, tuttavia, riguardano al momento la mancanza di condanne forti e significative per le manifestazioni anti-americane da parte dei leader arabi.
Con la significativa eccezione dell’Arabia Saudita, alleato di ferro di Washington nonostante la fede wahabita, branca del sunnismo di rigidissima ispirazione islamica, il resto dei governanti dell’area non si è fatto sentire.
A spaventare è soprattutto la scarsa empatia nei confronti dell'America registrata finora da parte di Mohammad Morsi, neopresidente egiziano estratto dalle fila dai Fratelli Musulmani.
L'Egitto, che durante la 30ennale dittatura di Hosni Mubarak è stato un baluardo della strategia americana nel contenimento del terrorismo, ha speso parole dure contro il film che si fa beffe dell’Islam, ma non ha lanciato messaggi particolarmente distensivi alla Casa Bianca.
Morsi ha definito il film «un crimine contro l’umanità e contro i musulmani», e si è schierato contro il pastore fanatico Terry Jones, già famoso per aver bruciato il Corano e responsabile questa volta di aver rilanciato il filmato incriminato.
Per contro, il presidente islamico ha offerto a Obama una piccola rassicurazione, segnalando che la difesa dei cittadini stranieri è un compito dell’Egitto.
L’Europa, per il momento, resta a guardare. Ma la paura che le proteste possano portare il segno di al Qaeda e che il terrorismo possa riaffacciarsi in Occidente inizia a farsi sentire.
A Berlino sempre giovedì è scattata la psicosi per un pacco sospetto arrivato all’ambasciata Usa. Era un falso allarme. Ma la psicosi, invece, è verissima.
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